martedì 27 ottobre 2009

Romolo e Remolo

Io e mio cugino praticamente siamo come fratelli, anzi di più, siamo come fratelli gemelli. Quando mia madre ha saputo che la sorella era incinta ha subito detto "Non voglio che mio nipote cresca come un figlio unico" e così sono nato io, pochi mesi dopo di lui.

Con mio cugino ho avuto un'infanzia felice. Passavamo la giornata sullo sterro che separava i negozi di mia madre e di mia zia, giocavamo a "tiro al buriolo" oppure andavamo a lucertole. L'area della Tuscolana oltre il raccordo, allora era immensa: non c'era l'Ikea o i centri commerciali che son venuti dopo. C'erano solo delle casette, un paio di capannoni, e due costruzioni a forma di castelletti medioevali, con tanto di torri merlate e feritoie. Il castelletto marrone con su scritto "Meloni Mobili" era il castelletto di mia zia, mentre quello bianco con su scritto "Arte Mobili Cantù" era il castelletto di mia madre. Lei, che ha costruito dopo, avrebbe voluto fare anche un ponte levatoio, ma poi non si è mai fatto nulla. Ne ha sempre sofferto un po', ma per orgoglio non lo dava a vedere.

Ogni sera al tramonto, mia zia e mia madre cacciavano la testa fuori dalla finestra di una delle loro torri e ci chiamavano urlando i nostri nomi verso la campagna. Per prima mia zia chiamava mio cugino, poi mia madre chiamava mio cugino e me. Così mio cugino stava spesso da noi. A me faceva piacere, lui mangiava tutto; spesso anche quello che io lasciavo nel piatto. Così mia madre era contenta.

Insieme abbiamo poi fatto le stesse scuole, abbiamo avuto le stesse compagnie e perfino ci siamo innamorati delle stesse ragazze, quasi tutte già sue. Ma questo non gliel'ho mai confessato.

Quando ci siamo fatti grandi, mio cugino ha voluto chiudere coi mobili e si è messo nei trasporti. Con un finanziamento di mamma, ha tirato su una concessionaria Iveco riadattando un capannone sull'autostrada Roma-Napoli. Al contrario di me è sempre stato un tipo estroso: ha coperto la facciata del capannone con un pannello a forma di una piramide gialla e sopra ci ha scritto "Tutan Kamion". Allora anche io ho pensato di fare qualcosa nei trasporti ma mia madre era poco convinta ad investire: "Se proprio vuoi, prova qualcosa con una sfinge ma non so se funzionerebbe". Poi c'è stata la disgrazia e tutto si è fermato.

Oggi ho visto mio cugino nella bara. Sul volto aveva una smorfia oscena, come certe sue imitazioni che ci faceva per divertirci. A quel ricordo così vivido, quasi sbottavo a ridere lì davanti alla salma. Allora ho fatto finta di piangere e per distrarmi mi sono avvicinato a confortare mia madre. Appena mi sono avvicinato, lei mi ha detto: "Hai visto? Se n'è andato anche per primo."

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