domenica 22 novembre 2009

Un posto

Ogni domenica la fiat punto si ferma su quella strada, ne escono cinque quattro due ragazzi, a seconda dei compiti e degli impegni. Venti dieci quindici cinque marmocchi a seconda di non si sa quali flussi oscuri si avvicinano ai già nominati ragazzi. Loro sanno che ci stanno a fare lì, sono venuti per giocare. Non si sa esattamente spiegare cosa sia quel posto, è una via di mezzo tra il quartiere abbandonato di una città o un paese a se stante che campa di malavita. Non è niente, è un posto e basta. Molto piccolo, però.
Sono marmocchi molto vivaci, ognuno con un proprio modo di agire e di fare, se ti chiedi come mai l'uso della violenza, fisica e verbale, sia per loro la normalità, devi andare a dare uno sguardo all'interno delle mura domestiche, e capirai. Il piccolo boss è Tavit, padre in galera per spaccio, madre sola con lui e altri tre o quattro figli più piccoli, non hanno i soldi neanche per mangiare, ma lui ha un motorino, e questo basta per essere rispettato dagli altri bambini. Lui è l'unico che non corre all'arrivo dei ragazzi, sta fermo sul muretto con le gambe penzoloni mentre gli altri giocano a Nascondino, Un due tre stella, Guardie e ladri, Birilli (tutti si mettono con le spalle a muro e devono cercare di evitare di essere colpiti con la palla), varie ed eventuali creazioni del momento. Ai ragazzi piace giocare con loro anche se non sempre è tutto così facile, soprattutto perchè sono bambini molto molto vivaci e abituati alla violenza, non conoscono il rispetto delle regole neanche nel gioco. Non si affezionano facilmente, come può un bambino che non sa neanche se il genitore è buono o cattivo affezionarsi a qualcuno? Ma quando lo fanno, ti senti utile e appagato.In un mare di cose immutabili e orrende, soffio di vento su un ingranaggio sbagliato che non si può cambiare. Forse è per questo che continuano ad andare tutte le domeniche, perchè nonostante facciano ben poco per quei bambini, vogliono dimostrare che bisogna avere fiducia nelle persone, forse perchè non si può non ritornare dopo aver visto quegli occhi di bambini così pieni di non si sa cosa, forse perchè credono ancora di poter cambiare qualcosa.
-Ehi tu. Vieni domenica prossima?

mercoledì 18 novembre 2009

L'altro

La tua inesauribile energia mi ha reso una donna felice ma ora devo lasciarti, mio figlio mi aspetta disse la donna riponendo il suo mac.

domenica 15 novembre 2009

Monia

Oggi ha telefonato una con una vocetta petulante: "Pronto buongiorno vorrei sapere se oggi è possibile visitare la cantina" "Lei chi è scusi?" "Sono Monia F., una studentessa della facoltà di scienze gastronomiche e..." "Mi spiace, oggi non ci siamo".
Rimane un po' come interdetta, la immagino fare una specie di broncio che si intuisce anche nel tono della voce: "Ah ...ma...io".
"Sono spiacente, oggi non ci siamo, riprovi a chiamare, magari per una visita infrasettimanale". "Ecco, sì, magari provo un'altra volta" conclude lei con tono seccato. Ma brutta stronza, ma va' a chiedere di "visitare" un'altra cantina di domenica pomeriggio, poi senti cosa ti rispondono.
Però sono iena e bastardo inside: mi è venuto in mente mentre scrivo che se la vocetta petulante e femminile fosse stata una voce maschile profonda e sensuale che avesse detto "Sono Luca T. uno studente della facoltà di scienze gastronomiche" avrei risposto: "ma venga, venga pure! Tanto noi viviamo qui, sarà un piacere dedicarLe tutto il pomeriggio".
Ma poi chissà, magari Luca T. è l'amico gay di Monia F. e sarebbe venuto con lei,  ma le ha detto: "chiama tu, se il titolare sente una voce di ragazza sicuramente non dirà di no". E così magari ho dato un calcio al pane, vassapé.
Ché sì, la Monia, sicuramente, è innamorata persa di Luca, e per lui farebbe qualsiasi cosa: compreso telefonare al bel produttore che Luca vorrebbe incontrare perché l'ha visto a un salone, e se ne è innamorato perso a sua volta.
Ma il nome "Monia" proprio non lo reggo.

sabato 14 novembre 2009

Legittima difesa

Se ne stava appoggiato al muro con l’aria di chi si è appena risvegliato da uno strano sogno.
Era un ragazzo biondo, esangue. Un adolescente dinoccolato, dalle mani ossute, le iridi chiarissime che sembravano non mettere a fuoco la realtà che gli stava dinanzi.
La donna giaceva a terra, poco più in là, la testa fracassata. Uno spettacolo raccapricciante che persino il commissario cercava di evitare. Attorno, la scientifica si stava dando da fare.
Il ragazzo continuava a fissare il nulla, l’occhio vacuo. Il martello era ancora ai suoi piedi.
Il commissario gli si mise di fronte. “Perché?”, gli chiese. Il ragazzo non rispose.
“Era tua madre.”, gli disse ancora, cercando di incrociarne lo sguardo.
Il ragazzo lo fissò stupito, come colpito da un’improvvisa rivelazione, poi il terrore gli si dipinse sul viso e scosse più volte la testa quasi a scacciare una visione orribile o in un disperato diniego.
“No!”, esclamò concitato, “Non era mia madre! Era un mostro. Un mostro orribile, affamato, che mi stava divorando vivo. A morsi, coi suoi denti affilati...”
Si fermò, guardò il corpo a terra con disgusto, rabbrividì.
Poi rivolse di nuovo al commissario gli occhi limpidi e freddi e sussurrò:
“E’ stata legittima difesa”.

Wanted

la guardi interrogativo.
ti risponde molto tranquillamente.
Lei è qua, di fronte a te, si è presentata senza avviso e quando l’ hai vista entrare in camera tua come se nulla fosse, un sussulto ti ha fatto alzare di scatto dalla sedia, sulla tua faccia l’espressione di chi ha appena visto un fantasma.
Forse uno scheletro nell’armadio.
Ti fissa con quei suoi occhi cristallini e innocenti, ha bisogno di te e senza pronunciare parola ti sta chiedendo aiuto. Ma tu non capisci, la guardi e ti stupisci del fatto che sia là e del fatto che ancora oggi, dopo tutto questo tempo, un brivido sospetto ti ha percorso nel momento in cui è apparsa ai tuoi occhi.
Non era mai stata prima d’ora a casa tua, ma attraversa la stanza fino ad andarsi a sedere sul tuo letto con disinvoltura inaspettata. Spegni lo schermo del computer e ti risiedi sulla sedia della scrivania, voltandoti verso lei. Si guarda intorno, osserva tutto con attenzione, con curiosità, morbosa di assimilare più cose possibile. Tu non la perdi d’occhio neanche per un istante. Fuori il sole tramonta, il buio si poggia sui palazzi, avvolge le strade, i lampioni si accendono e gettano squarci di ombra dietro ogni sporgenza. Un occhiata fuori dalla finestra e ancora il suo viso, non sai perché, ma ora la vedi sotto una luce diversa, un po’ ti fa paura, seduta sul tuo letto, la immagini distesa, il suo volto dolce, i capelli profumati, la pelle morbida, scacci via quei pensieri, hai paura di cedere e sai che non devi assolutamente. I vostri sguardi si incrociano, leggi nei suoi occhi lo sconforto, forse anche un poco d’ansia e di imbarazzo, ma infondo la puoi capire, si starà pentendo di essere venuta e deciderà di andare via; al contrario il suo imbarazzo è dato dalla tua presenza, che la guardi con sospetto, sente i tuoi occhi sul suo corpo. Ti alzi e le vai incontro mosso dall’istinto di consolarla, ti metti affianco a lei, le posi una mano sul ginocchio. Lei si gira e scruta il tuo viso, impercettibilmente appoggia la sua mano sulla tua, quel contatto scatena in te qualcosa che ha parole non si può descrivere, un tumulto di emozioni spazzano via quella sensazione di disagio che albergava in te ogni volta che l’ hai incontrata in questi ultimi tre mesi. Freddo fuori e caldo dentro.
La guardi per un ultima volta, senti di volerla e lei ti sta dicendo che vuole lo stesso, le cingi la spalla e la fai scendere sdraiata sul letto con te. Ti volti nella sua direzione, cerchi le sue labbra e quando le trovi il desiderio esplode, tutti quei sentimenti che avevi tenuto nascosto per tutto quel tempo ora escono allo scoperto, pronti a farsi riconoscere uno ad uno: gelosia, per tutte quelle volte in cui l’avevi vista con altri e non avevi potuto dirle che doveva stare solo con te, avresti voluto portarla via, ma non hai mai osato, rabbia per averla persa, per il modo superfluo in cui gli altri la guardavano, mentre tu eri riuscito ad andare a fondo, ma non era comunque servito a niente, timore del perderla ancora, sollievo nell’averla appena ritrovata.
Lei, più di tutto, sente la paura di farsi ancora del male, si era imposta di non ricaderci, ma ora che l’ ha fatto, l’unica cosa che potrebbe farla stare male è un nuovo rifiuto. Le tue mani sul suo corpo la spogliano, lei fa lo stesso con te, i vestiti cadono e le lenzuola si disfanno, la senti tra le mani, i suoi capelli ti fanno il solletico, i vostri corpi nudi che aderiscono, le prendi la vita in una presa ferma e la fai tua. Tu dentro lei e lei dentro te. Un'unica cosa. Nessun pensiero osa sfiorare la mente di entrambi; da una parte il cedimento, dall’altra la rivincita. Il battito del cuore di lei accelera smisuratamente, il piacere puro la inebria e non le importa delle conseguenze, lascia che tu la distrugga ancora un po’.

venerdì 13 novembre 2009

Eppure ho fatto anche cose belle


Meglio Varano che era un mio amico vero e che è morto al Niguarda di cancro e che aveva fatto 36 anni di carcere, ma lui dopo ha vissuto come gli pareva, mandando via anche i cacciatori dal suo orto, dicendo che gli avrebbe mangiato il cuore se fossero ancora passati da lì. Loro hanno capito che varano l'avrebbe fatto e non sono più passati.

Era dolce, però, Varano. Come si possa dire così di un pluriomicida, non lo so. Magari la moglie e l'amante, ammazzati – ma è stato per errore, mi sono partiti due colpi per errore: uno a casa e l'altro alla stazione – non sono d'accordo.

Ma a me mi viene da pensare così, allora va bene.

Che un futuro drammatico ci aspetta
Che non ci abbiamo una lira
Che forse le cose si risolvono
Che no stasera non mi va, magari domani che siamo riposati

Che stupido
che sono

che tu non mi rassicuri
che chissà domani, perché questo è proprio un brutto periodo
che quando mai è stato un bel periodo?
che tu ma quanto ti aspetti ancora di vivere?
che non è più tempo per queste cose
che tu non hai proprio il senso della famiglia
che qual'è il senso della famiglia?
che siccome ho voglia di leccarti la fica non ho il senso della famiglia

che tutte le cose che non vanno
se durano troppo a lungo
non sono sane
che alla sera
sono stanco dopo
che non ho fatto
un cazzo tutto il giorno

che ma intanto che aspettiamo che questo futuro
drammatico si avveri,
noi intanto,
oggi per esempio,
che minchia facciamo?

Ma io quando sarò nel futuro
e quando sono stato nel passato
mi sono mai accorto
che
per un attimo
ho vissuto nel presente?

Che hai proprio ragione
se ti dimentichi di vivere,
a volte puoi riprovarci
ma non c'è più nessuno.

Che bafanculo.

Che prima di vivere come vuoi,
che quelli che si mangiano il buco del culo del polpo perché non lo sanno riconoscere,
che non l'hanno mai pulito,
che proprio loro ti rompano i coglioni...

Che ma rivaffanculo.

Che forse bevo troppo.
Che non me ne frega niente.
Che eppure sono dolce anche
io.

* * *
- Spicciati, che qui piove.
La spiaggia era recintata, gli inneschi sistemati. Bastava solo un cenno, un assenso.
Aveva iniziato a piovere. La gente iniziava ad andarsene, coprendosi la testa con quello che gli capitava sottomano, un k-way, una borsa di plastica. Qualcosa.

- Manda su 'sti cazzo di fuochi, che se no non ci pagano. Ci saranno ventimilioni di polvere, qui...

Anche il venditore di polpo lesso sulla stradina che portava al mare se ne era andato. Una serata persa, incasso andato, fanculo ai temporali estivi.
Solo un ragazzo resisteva sulla duna sabbiosa antistante la spiaggia. Sembrava la pioggia gli piacesse.

- Pigia sto cazzo di pulsante, stronzo. Cosa ti pago a fare?

Gli sembrò qualcosa di simile ad un cenno per l'inizio dello spettacolo. Azionò l'interruttore. E si mise a guardare, col naso all'insù

Lo spettacolo iniziò. I fuochi artificiali partivano verso il cielo, gran botti che risuonavano nel petto. Ma non riuscivano a salire, sconfitti dal temporale.

Salivano. Poi piegavano verso il basso. Esplodendo si riflettevano nelle gocce d'acqua.

- Meraviglioso, è meraviglioso -, penso il ragazzo sulla duna. - Non ho mai visto niente di più bello.

Anche l'uomo del pulsante pensava la stessa cosa.

* * *

- Ciao nonno...
L'uomo dietro al bancone si illuminò in un sorriso : - Passerotta, cosa ci fai in giro a quest'ora? dai nonno ho dodici anni; ci sono i fuochi...
- Mamma?
- Non so, è fuori...
- Papà?
La bimba non rispose.
- Lascia stare io e tuo padre non siamo mai stati troppo fortunati con le donne.
L'uomo con il riporto dei capelli allungò le braccia al di là del bancone. La bimba alzò le braccia e si fece sollevare e portare al di là del banco del bar.
- Sai cosa facciamo noi ora? -, sussurrò alla bimba, reggendola in alto sopra il bancone, - chiudiamo il bar e ce ne andiamo a mangiare una pizza. Cosa ne dici? Hai fame?
La bimba era quasi una ragazzina. Gambe lunghe e storte. Occhi azzurri e lentiggini. Capelli biondi a maschiaccio, tettine che pareva l'avesse pinzata un'ape.
Sorrise.
- Siiii! Nonno, dai!
- Sistemo due cose e la notte è nostra, passerotta -, concluse l'uomo col riporto ai capelli.

La prima esplosione provocò solo un leggero tremito alle sue mani, mentre riponeva le tazzine sulla macchina del caffè, pronte per l'indomani.
Ma fu la terza a dipingergli la paura sul volto. Un lungo fischio, poi l'esplosione bassa che illuminò il cielo a giorno.
- Al fosforo, questa è al fosforo -, pensò il vecchio.
Era stata dura a Den Bien Phu nel '54 con la Légion. Più che dura. Terrore, nient'altro.


* * *

Il nonno tirò giù la serranda del bar, mentre la bimba leccava il suo gelato.
La piccola, ebbe paura, voltandosi.
L'aveva sempre considerato un vecchio, per quanto vigoroso. Ma mite. Con quegli stupidi capelli bianchi riportati dalle tempie per coprire il cranio pelato. Tenero.
Il ragazzo tatuato avanzava con un coltello in mano. Minaccioso.
Il nonno si mosse rapidamente, senza più tremiti. In silenzio.
Si spostò di lato per non offrire il facile bersaglio del corpo. Contemporaneamente afferrò il braccio del giovane e lo fece ruotare su se stesso. Lo butto a terra a faccia in giù.
Il ragazzo mollò il coltello, con un leggero gemito.
Il nonno lo prese, impugnandolo in alto sulla lama, appoggiando il pollice sulla parte piatta.
Lo puntò alla base del cranio e spinse verso il basso.
Non ci furono urla, nemmeno qualcosa di paragonabile alla violenza.
Solo una pozza di sangue.
La pizza, dopo, la mangiarono con gusto. Chiacchierando

Back Home

Mario fermò la macchina nella piazza del paese. Scese, girò lentamente su se stesso, osservando come tutto fosse cambiato.

Era disorientato. In fila davanti a lui era ancora tutto al suo posto: la farmacia, i bagni pubblici, il bar Moderno, i giardinetti polverosi e scialbi, i ragazzini che giocavano a pallone e naturalmente Nanni Merda che dava fastidio alle donne. Perfino le gatte magre come lupe erano quelle di un tempo; anzi alcune lo guardavano diffidenti quasi a riconoscerlo .

Ma al tempo stesso era tutto diverso da come se lo aspettava, da come era fissato nel suo ricordo: niente di puro e natio, ora sembrava solo un piccolo ignobile paesetto, gretto e meschino.

Sputò per terra e con una smorfia di disgusto disse : "Paese di schifo sei e paese schifo eri". Rientrò in macchina e puntò velocemente il selettore su un altro secolo e su un'altra latitudine. Nessuno vide il breve bagliore che accompagnò la sua scomparsa; solo Nanni Merda fece un sorriso ebete ma forse stava semplicemente facendo un peto.

lunedì 9 novembre 2009

Quando le stazioni al mattino odorano di dopobobarba

Quando le stazioni al mattino odorano di dopobobarba, i ricordi sono impicci.
Inutili.
Il mondo è lì per te, ai piedi del tuo completo acquistato in saldo.
Ma alla sera, quando sei trasparente, e lo sguardo di chi incontri ti trapassa - e non ci sei per nessuno, non esisti - la vita, quello che sei, è agganciato all'amo di quello che solo i tuoi occhi hanno visto.
Il mondo è lì, non l'hai ancora mangiato. Forse ci sarà tempo domani. O forse no.
Eppure un tempo sono stato un re, ma non me ne ricordo più -.
* * *
Dio quanto mi piaceva lei.
Lei di quella foto.
Era la sorella di una ragazza che stava con un mio amico.
Eravamo a casa sua, - quella del mio amico, quasi fratello per certi versi (e come un fratello l'ho spesso abbandonato, ma cazzo, lui è il maggiore!), in campagna.
Faceva caldo.
Lei della foto mi piaceva da morire, ma era già impegnata.
Faceva l'attrice, niente di fragoroso, ma immagino ci campasse.
Quel pomeriggio abbiamo dormito insieme. Giocava con me, si divertiva. Le piaceva sentire che la desideravo, forse.
Nulla di più.
Però, nel letto, era nuda.
L'ho sfiorata tra le cosce. Un passaggio quasi casuale, (non ci credo che fosse casuale, ma lei non mi permetteva altro, e io, cresciuto su DuePiù di mia sorella, mai mi sarei immaginato che, a volte le donne, dicono una cosa e ne desiderano un'altra. Comunque ancora oggi non so cosa desiderasse).
Però era bagnata. Gli slip erano fradici. Sotto gli slip, ancora di più.

Magari sono stato troppo insistente, non ricordo.
Allora si è alzata per farsi una doccia. E mi ha chiamato perché le portassi un asciugamano. Ma era ancora a metà.
Tutta nuda si è fatta guardare mentre si lavava (ho quell'immagine stampata nella memoria - ricordo l'acqua che scendeva sui suoi piedi).
E poi si è fatta asciugare. Come si asciuga una figlia.

Era come quando si prende la bimba, la si mette in piedi sul tavolo per non fare fatica, la si asciuga e la si riempie di borotalco.
Non mi era ancora capitato, allora.
Non avevo figlie, allora.
Ora sì; e di borotalco sulla passerotta ne ho messo a chili. E sono cresciute bene lo stesso.

Non ricordo bene ma credo che mi abbia anche abbracciato, dopo.
Credo che mi abbia anche abbracciato prima, nel letto.
Credo abbia anche urlato, prima. Nel letto. Quando l'ho sfiorata. Ma forse ricordo male.
Avrebbe anche urlato se io fossi entrato dentro di lei.
Ma non l'ho fatto.

Poi partì per Roma con il suo compagno. Ero già sposato quando mi hanno detto che era morta di cancro.
Aveva più o meno 33 anni.
Sono abbastanza imbarazzante in genere, per quelli che mi conoscono. Però...

Non so, non credo che sia irriguardoso per lei raccontare che una volta, l'ho toccata ed era bagnata.
Neanche mi sembra irriguardoso scrivere che mi piaceva tanto, che l'avrei amata.
Forse.

Ho sempre pensato, che quello fosse un amore incompleto, di quelli "che avrebbero potuto essere e non sono stati" come dice Gozzano, che poi è anche sottovalutato.

Oggi no. Oggi penso che quello sia stato l'amore perfetto. Perché al posto del rancore, lascia almeno lo struggimento.

Ho sempre pensato, che quello fosse un amore incompleto, di quelli "che avrebbero potuto essere e non sono stati" come dice Gozzano, che poi è anche sottovalutato.

Oggi no. Oggi penso che quello sia stato l'amore perfetto. Perché al posto del rancore, lascia almeno lo struggimento.

lunedì 2 novembre 2009

La menopausa.

Fu l'ultima a salire sulla nave, trascinandosi le sue cose ed inciampando continuamente.
-Vuole una mano?
Disse un uomo con la divisa bianca e il berretto.
-No grazie, ce la faccio da sola.
Fino a che non si trovò con il sedere per terra.
-Vuole una mano.
Prese i suoi bagagli e la accompagnò a chiedere il numero della sua cabina.
-Su, me lo chieda. Perché una signora della mia età parte da sola per le isole del sud? Ragazzo mio, io mi ero stancata! Tutta la famiglia che dipende da me, e cucina per tutti, e tieni i bambini, e rammenda questo, e stira quello... una dopo un po' si stanca, eh! L'altro giorno ero dal parrucchiere e sfogliando un giornale ho visto l'annuncio, ho chiamato e ho prenotato, ho fatto le valige ed eccomi qui. Perché proprio qui? Perché i viaggi della parrocchia fanno venire la depressione, si passa più tempo dietro a tutti gli acciacchi di quei vecchi rimbambiti che non divertendosi o facendo qualcosa di vagamente interessante. Io sono una bella giovine ribelle stanca della sua vita, che cavolo, la vita è solo una, davvero, che cavolo, che cavolo! Io non capisco...
Il ragazzo, a metà tra lo scioccato e il divertito, le portò i bagagli fino alla sua cabina, le diede le chiavi, ritornò indietro. E mentre si allontanava lei era lì ancora a parlare e parlare e parlare. Non avrebbe smesso mai.

La sentiva ridere


La sentiva ridere, un piccolo riso a singhiozzo che si trascinava poi in rapidi singulti. Dopo una breve pausa, ritornava a scoppiettare veloce.

Si fermò sulla porta in ascolto, sbirciò all'interno, ma non riusciva a vederla: doveva essere sul letto, al telefono. Si sentì in colpa. Tornò indietro silenziosamente, poi avanzò di nuovo calcando i passi per segnalare la sua presenza.

La risata si interruppe, ci fu un ciao frettoloso e sua moglie lo squadrò freddamente mentre entrava nella stanza.

"Con chi ridevi?", avrebbe voluto chiederle, ma la domanda gli morì in gola, Lo sguardo di lei aveva qualcosa di ironico mentre lo fissava, un'ombra di sorriso ancora all'angolo della bocca.

Rideva di me, pensò sconvolto. E ancora tacque.

Si sfilò la giacca, la poggiò sulla seggiola e la osservò perplesso. La donna scattò in piedi e sgusciò dalla stanza, come memore di un'incombenza dimenticata. "Hai fame?", chiese eclissandosi.

Rimasto solo, toccò il telefono. La cornetta era ancora calda: doveva essere stata una telefonata lunga. Con chi?

Era tanto che non la sentiva ridere, aveva persino dimenticato il suono della sua risata.

Rideva di me, pensò di nuovo, incredulo. Perché? Si chiese subito dopo, offeso. C'era poco da ridere: le dava tutto quello che voleva, si faceva in quattro per soddisfare le sue smanie e si accontentava del niente che riceveva in cambio.

Si riscosse e marciò deciso in cucina.

La studiò mentre imbastiva davanti ai fornelli un pasto senza sapore e senza voglia. La osservò chinarsi: la gonna troppo corta scopriva il cuscinetto di grasso, chiazzato da venuzze, che si era depositato dietro le ginocchia. La maglietta aderente evidenziava l'adipe accumulato sullo stomaco, impietosamente sottolineato dalla stretta del reggiseno che mal conteneva le esuberanze ormai vizze. Gli fece rabbia: era ridicola, grottesca.

Notò, mentre lei posava con malgarbo la pentola sul tavolo, gli occhi bistrati e i capelli stopposi per i troppi colori subiti.

Si erse in tutta la sua dignità, la considerò severo e sbottò.

" Alla tua età dovresti guardarti allo specchio prima di conciarti come una ragazzina. Non te lo puoi più permettere".

Lei si bloccò stupita. La sua espressione distante si congelò in uno spasmo di incredulità. Lo fissò con odio, sbatté il mestolo sul tavolo e scappò via.

Lui si servì e cominciò a mangiare.

La sentiva piangere nella stanza accanto.



© 2009 Gloria Gerecht