venerdì 13 novembre 2009

Eppure ho fatto anche cose belle


Meglio Varano che era un mio amico vero e che è morto al Niguarda di cancro e che aveva fatto 36 anni di carcere, ma lui dopo ha vissuto come gli pareva, mandando via anche i cacciatori dal suo orto, dicendo che gli avrebbe mangiato il cuore se fossero ancora passati da lì. Loro hanno capito che varano l'avrebbe fatto e non sono più passati.

Era dolce, però, Varano. Come si possa dire così di un pluriomicida, non lo so. Magari la moglie e l'amante, ammazzati – ma è stato per errore, mi sono partiti due colpi per errore: uno a casa e l'altro alla stazione – non sono d'accordo.

Ma a me mi viene da pensare così, allora va bene.

Che un futuro drammatico ci aspetta
Che non ci abbiamo una lira
Che forse le cose si risolvono
Che no stasera non mi va, magari domani che siamo riposati

Che stupido
che sono

che tu non mi rassicuri
che chissà domani, perché questo è proprio un brutto periodo
che quando mai è stato un bel periodo?
che tu ma quanto ti aspetti ancora di vivere?
che non è più tempo per queste cose
che tu non hai proprio il senso della famiglia
che qual'è il senso della famiglia?
che siccome ho voglia di leccarti la fica non ho il senso della famiglia

che tutte le cose che non vanno
se durano troppo a lungo
non sono sane
che alla sera
sono stanco dopo
che non ho fatto
un cazzo tutto il giorno

che ma intanto che aspettiamo che questo futuro
drammatico si avveri,
noi intanto,
oggi per esempio,
che minchia facciamo?

Ma io quando sarò nel futuro
e quando sono stato nel passato
mi sono mai accorto
che
per un attimo
ho vissuto nel presente?

Che hai proprio ragione
se ti dimentichi di vivere,
a volte puoi riprovarci
ma non c'è più nessuno.

Che bafanculo.

Che prima di vivere come vuoi,
che quelli che si mangiano il buco del culo del polpo perché non lo sanno riconoscere,
che non l'hanno mai pulito,
che proprio loro ti rompano i coglioni...

Che ma rivaffanculo.

Che forse bevo troppo.
Che non me ne frega niente.
Che eppure sono dolce anche
io.

* * *
- Spicciati, che qui piove.
La spiaggia era recintata, gli inneschi sistemati. Bastava solo un cenno, un assenso.
Aveva iniziato a piovere. La gente iniziava ad andarsene, coprendosi la testa con quello che gli capitava sottomano, un k-way, una borsa di plastica. Qualcosa.

- Manda su 'sti cazzo di fuochi, che se no non ci pagano. Ci saranno ventimilioni di polvere, qui...

Anche il venditore di polpo lesso sulla stradina che portava al mare se ne era andato. Una serata persa, incasso andato, fanculo ai temporali estivi.
Solo un ragazzo resisteva sulla duna sabbiosa antistante la spiaggia. Sembrava la pioggia gli piacesse.

- Pigia sto cazzo di pulsante, stronzo. Cosa ti pago a fare?

Gli sembrò qualcosa di simile ad un cenno per l'inizio dello spettacolo. Azionò l'interruttore. E si mise a guardare, col naso all'insù

Lo spettacolo iniziò. I fuochi artificiali partivano verso il cielo, gran botti che risuonavano nel petto. Ma non riuscivano a salire, sconfitti dal temporale.

Salivano. Poi piegavano verso il basso. Esplodendo si riflettevano nelle gocce d'acqua.

- Meraviglioso, è meraviglioso -, penso il ragazzo sulla duna. - Non ho mai visto niente di più bello.

Anche l'uomo del pulsante pensava la stessa cosa.

* * *

- Ciao nonno...
L'uomo dietro al bancone si illuminò in un sorriso : - Passerotta, cosa ci fai in giro a quest'ora? dai nonno ho dodici anni; ci sono i fuochi...
- Mamma?
- Non so, è fuori...
- Papà?
La bimba non rispose.
- Lascia stare io e tuo padre non siamo mai stati troppo fortunati con le donne.
L'uomo con il riporto dei capelli allungò le braccia al di là del bancone. La bimba alzò le braccia e si fece sollevare e portare al di là del banco del bar.
- Sai cosa facciamo noi ora? -, sussurrò alla bimba, reggendola in alto sopra il bancone, - chiudiamo il bar e ce ne andiamo a mangiare una pizza. Cosa ne dici? Hai fame?
La bimba era quasi una ragazzina. Gambe lunghe e storte. Occhi azzurri e lentiggini. Capelli biondi a maschiaccio, tettine che pareva l'avesse pinzata un'ape.
Sorrise.
- Siiii! Nonno, dai!
- Sistemo due cose e la notte è nostra, passerotta -, concluse l'uomo col riporto ai capelli.

La prima esplosione provocò solo un leggero tremito alle sue mani, mentre riponeva le tazzine sulla macchina del caffè, pronte per l'indomani.
Ma fu la terza a dipingergli la paura sul volto. Un lungo fischio, poi l'esplosione bassa che illuminò il cielo a giorno.
- Al fosforo, questa è al fosforo -, pensò il vecchio.
Era stata dura a Den Bien Phu nel '54 con la Légion. Più che dura. Terrore, nient'altro.


* * *

Il nonno tirò giù la serranda del bar, mentre la bimba leccava il suo gelato.
La piccola, ebbe paura, voltandosi.
L'aveva sempre considerato un vecchio, per quanto vigoroso. Ma mite. Con quegli stupidi capelli bianchi riportati dalle tempie per coprire il cranio pelato. Tenero.
Il ragazzo tatuato avanzava con un coltello in mano. Minaccioso.
Il nonno si mosse rapidamente, senza più tremiti. In silenzio.
Si spostò di lato per non offrire il facile bersaglio del corpo. Contemporaneamente afferrò il braccio del giovane e lo fece ruotare su se stesso. Lo butto a terra a faccia in giù.
Il ragazzo mollò il coltello, con un leggero gemito.
Il nonno lo prese, impugnandolo in alto sulla lama, appoggiando il pollice sulla parte piatta.
Lo puntò alla base del cranio e spinse verso il basso.
Non ci furono urla, nemmeno qualcosa di paragonabile alla violenza.
Solo una pozza di sangue.
La pizza, dopo, la mangiarono con gusto. Chiacchierando

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